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Referendum: a rischio quesiti su nucleare e acqua, sempre per salvare Berlusconi.

Dopo il blitz di mercoledì sul nucleare il governo è pronto ad un altro intervento legislativo ad hoc, l’obiettivo questa volta è quello di bloccare anche i quesiti referendari sulla privatizzazione delle risorse idriche. Il ministro dello Sviluppo Economico ha infatti dichiarato a Radio Anch’io: «Su questo tema, di grande rilevanza, sarebbe meglio fare un approfondimento legislativo». Il ministro in questione è Paolo Romani, noto ai più come l’inventore del programma televisivo “Colpo grosso” (proprio delle credenziali niente male per ricoprire quella carica, non vi pare?), e ora vuole mettere a segno un “nuovo colpo”. Stavolta, però, si tratta di un coup de théâtre, un colpo di scena in piena regola, che ha il solo scopo di evitare che la mobilitazione per l’acqua pubblica trascini al successo anche il referendum sul legittimo impedimento. Berlusconi sa bene che rischia di restare vittima della personalizzazione che ha imposto alla politica italiana. Colui che ha sempre trasformato ogni consultazione elettorale in un referendum sulla sua persona è conscio del fatto che ove il 12 e il 13 giugno si raggiungesse il quorum e ci fosse una vittoria del SI, ciò avrebbe l’innegabile significato di una sua “bocciatura”.

E’ per questo che Stefano Rodotà ha commentato su “Repubblica”:

Una ennesima contraddizione, un segno ulteriore dell’irrompere continuo della logica ad personam. L’uomo che ogni giorno invoca l’investitura popolare, come fonte di una sua indiscutibile legittimazione, fugge di fronte ad un voto dei cittadini. Quest’ultimo espediente ci dice quale prezzo si stia pagando per la salvezza di una persona. Travolto in più di un caso il fondamentale principio di eguaglianza, ora si vogliono espropriare i cittadini di un essenziale strumento di controllo, della loro funzione di “legislatore negativo”. (…) Può darsi che qualcuno abbia memoria del 1974, di quel voto sul referendum sul divorzio che mise in discussione equilibri politici che sembravano solidissimi. E allora la maggioranza vuole blindarsi contro questo ulteriore rischio, contro la possibilità che i cittadini, prendendo direttamente la parola, sconfessino il governo e accelerino la dissoluzione della maggioranza.

Dietro questo tentativo di far saltare anche i due quesiti sull’oro blù, però, c’è anche un altro dei pilastri del Berlusconismo: l’applicazione delle tecniche di indagine e valutazione proprie del marketing commerciale alla politica. Il Premier ha da sempre concepito ogni sua creatura politica – Forza Italia prima e il PDL poi – non solo come un partito-persona, ma anche come un partito a gestione aziendale. Sin da subito ha fatto ricorso a continue rilevazioni sondaggistiche, da un lato, mirate a carpire e, dall’altro, a influenzare (grazie al colossale conflitto d’interessi) le scelte dell’elettore medio, trattato sempre più alla stregua di un consumatore/cliente. Una figura anomala, dunque, quella del Cavaliere, che ha presto alimentato una letteratura di genere piuttosto fiorente. Tant’è che, nel lontano 1997, proprio Rodotà fu buon profeta con un libro che oggi risulta quantomai attuale (“Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione“), all’interno del quale ammonì sul pericolo di una degenerazione della democrazia in una “sondocrazia”. E una delle conseguenze più deleterie della perenne smania di “sondare”, di tastare le opinioni degli italiani, è stata proprio il progressivo svuotamento dell’istituto referendario. La consultazione continua, infatti, determina un annullamento del fattore temporale. Come ha spiegato Zagrebelsky:

La nostra nozione di democrazia presuppone l’idea della responsabilità. Presuppone che colui che non corrisponde alle aspirazioni della maggioranza venga mandato via e sostituito da un altro. La responsabilità a sua volta presuppone un distacco, un’alterità tra governante e governati, ma con i sondaggi di opinione i governanti sono in grado di non distaccarsi mai dalle opinioni, dalle aspettative della maggioranza.

L’improvvisa ansia di approfondimenti, insomma, pare dettata semplicemente dall’analisi degli ultimi sondaggi. Quelli del governo sono, dunque, solo dei finti ripensamenti, dietro si cela tutt’altro, vi è una politica che sa coniugare solo i verbi della demagogia. Come ha magistralmente osservato Francesco Merlo dalle colonne di “Repubblica” del 18 marzo:

E’ scilipotismo termonucleare, trasformismo atomico. Questo non è un governo che ha cambiato idea e sta responsabilmente e dolorosamente rinunziando al nucleare, ma è un governo che non ha idee e si accoda alle paure e alle emozioni espresse dai sondaggi del momento. (…) Il punto è che tutti, non importa se pro o contro il nucleare, preferirebbero un governo capace di far valere le proprie convinzioni anche quando diventano impopolari, un governo che fa la cosa che gli sembra giusta e non la cosa per la quale fiuta l´applauso. Una volta c´era la destra che si batteva per gli interessi dell´industria, il profitto e lo sviluppo, e c´era la sinistra che metteva al primo posto i salari, l´ambiente, la salute. Ora invece ci sono i sondaggi, c´è una classe dirigente che si uniforma pubblicamente a quegli umori che in privato disprezza, c´è una destra che sfugge alla solidità della politica e insegue la volatilità del consenso: se la volete cotta ve la diamo cotta, se la volte cruda ve la diamo cruda, basta che balliate con noi.

Badate, però, che la “riduzione” del referendum al solo quesito sul legittimo impedimento non è cosa fatta, a dire l’ultima parola sarà L’Ufficio centrale per il Referendum presso la Corte di Cassazione. Riporto a riguardo l’analisi fatta nel prosieguo del suo articolo da Rodotà:

Le parti dell’emendamento che prevedono l’abrogazione delle norme oggetto del quesito referendario, sono incastonate tra due commi con i quali il governo si riserva di tornare sulla questione, una volta acquisite “nuove evidenze scientifiche mediante il supporto dell’agenzia per la sicurezza nucleare, sui profili relativi alla sicurezza, tenendo conto dello sviluppo tecnologico e delle decisioni che saranno assunte a livello di Unione europea”. E lo farà entro dodici mesi adottando una “Strategia energetica nazionale”, per la quale furbescamente non si nomina, ma neppure si esclude, il ricorso al nucleare. Si è giustamente ricordato che, fin dal 1978, la Corte costituzionale ha detto con chiarezza che, modificando le norme sottoposte a referendum, al Parlamento non è permesso di frustrare “gli intendimenti dei promotori e dei sottoscrittori delle richieste di referendum” e che il referendum non si tiene solo se sono stati del tutto abbandonati “i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente”. Si può ragionevolmente dubitare che, vista la formulazione dell’emendamento sul nucleare, questo sia avvenuto. E questo precedente induce ad essere sospettosi sulla soluzione che sarà adottata per l’acqua. Di questo dovrà occuparsi l’ufficio centrale del referendum che, qualora accerti quella che sembra essere una vera frode del legislatore, trasferirà il referendum sulle nuove norme. (…) L’aggressione al referendum e ai diritti dei cittadini promotori e votanti, la spregiudicata manipolazione degli istituti costituzionali fanno nascere per l’opposizione un vero e proprio obbligo. Agire attivamente, mobilitarsi perché il quorum sia raggiunto, si voti su uno, due, tre o quattro quesiti. Si tratta di difendere il diritto dei cittadini a far sentire la loro voce, quale che sia l’opinione di ciascuno. Altrimenti, dovremo malinconicamente registrare l’ennesimo scarto tra parole e comportamenti, che certo non ha giovato alla credibilità delle istituzioni.

E tu cosa aspetti, vuoi forse restare indifferente? Non prendere impegni per il 12 e il 13 giugno, vai a votare e impegnati a convincere i tuoi conoscenti a fare altrettanto. Non è un gioco: il futuro passa anche dalle tue mani, dalle tue azioni quotidiane!

(Articolo pubblicato su “Caffè News”, lo potete vedere cliccando qui)